domenica 12 ottobre 2014

Arte della guerra o arte della vita?


"Il più grande condottiero è colui che vince senza combattere" - Sunzi
L'arte della guerra

Le arti marziali da sempre attraggono l'Uomo, ma non sempre gli uomini ne colgono la profonda e reale essenza. In questo post, allora, si cercherà di offrire al lettore degli strumenti affinché questi possa trarre il significato di tale essenza. Da un punto di vista semantico, arte marziale significa arte della guerra o arte guerriera. Notiamo l'accostamento dei due termini, "arte" e "guerra". Quando si pensa a qualcosa di brutale come la guerra è molto difficile affiancargli il termine "arte". In genere si è spinti a concepire l'arte come il gesto creativo attraverso il quale un pittore dipinge un quadro, un compositore realizza una sinfonia o un poeta mette insieme delle strofe affinché queste formino una poesia. Se analizziamo ancora più a fondo il significato di "arte", allora ci rendiamo conto che la linfa vitale attraverso la quale l'arte si manifesta consiste nella volontà di quel pittore, compositore o poeta di trasmettere il suo stato emotivo, ciò che egli vorrebbe comunicare nel momento della creazione della sua opera, attraverso l'opera stessa. Creare arte, allora, significa plasmare un mezzo che, essendo in grado di comunicare dei sentimenti o dei pensieri, assume vita propria. In sintesi, creare arte corrisponde a creare la vita. La guerra, al contrario, si ottiene attraverso un atto distruttivo, che cancella la vita, lasciando solo cenere. Come è possibile, dunque, che siano stati creati dei sistemi di combattimento che al tempo stesso pretendono di possedere un'essenza artistica? Come è possibile accostare vita e morte in tal modo? Se l'arte è la vita hanno un legame così stretto, allora è possibile rendere la vita stessa dell'Uomo una vera e propria opera d'arte?
In questo post si è scelto di prendere il Gong Fu cinese come punto di riferimento per cercare di rispondere a questi interrogativi, dato che, a mio parere, il Gong Fu rientra fra quei sistemi di lotta che incarnano maggiormente l'associazione dialettica "arte-marziale".


La nostra indagine inizia andando ad analizzare il contesto storico che ha condotto l'Uomo a sviluppare e diffondere i vari stili di arti marziali, non solo in Cina, ma ovunque fosse necessario.
La conoscenza bellico-combattiva di ogni popolo ha origini molto primitive e istintuali, basate principalmente sulla necessità di difendere le risorse necessarie per la propria sopravvivenza. Il combattimento, che successivamente ha condotto allo sviluppo delle dinamiche della guerra, è infatti uno dei principali aspetti al quale l'Uomo ha dovuto ricorrere per la propria affermazione come specie dominante. Agli albori della storia umana l'accesso alle risorse basilari, quali cibo e acqua, non era di immediata fruizione, come avviene oggi nei Paesi industrializzati. A queste risorse, dunque, veniva attribuito un valore inestimabile tanto da dover essere protette dalle razzie dei predoni che volevano impossessarsene. A loro volta i razziatori non si facevano scrupoli nel togliere la vita a chi si opponeva fermamente alla sottrazione dei preziosi beni vitali. Originariamente, dunque, prima ancora che nascessero le civiltà organizzate, ciò che più contava per l'Uomo era combattere per il cibo e l'acqua, non per il potere o la ricchezza. Proteggere le risorse equivaleva ad assicurare la sopravvivenza della propria famiglia e del proprio clan. In sostanza, in questi tempi era necessario preservare la vita. Questo è stato il primo leitmotiv che ha spinto gli uomini a combattersi gli uni contro gli altri. In tale contesto sono nate, per necessità, le tecniche di autodifesa. Prima di poter proseguire, a questo punto, bisogna aprire una parentesi ed analizzare in cosa consiste l'autodifesa, in modo che si avrà, successivamente, un'idea un po' più precisa sulle modalità secondo le quali le arti marziali cinesi ed i loro principi si sono sviluppati.
La teoria dell'autodifesa è semplice. Da un lato si basa sullo studio di metodi efficaci e veloci per poter affrontare una colluttazione fisica, armata o a mani nude, con successo ed efficacia. L'utilizzatore delle tecniche deve essere in grado di concludere il confronto fisico nel minore tempo possibile, riportando lievi, o evitando del tutto, danni fisici. Dall'altro lato l'autodifesa va ad interessare le sorti dell'aggressore, il quale a seguito delle tecniche ricevute, può accusare delle conseguenze fisiche, ma non tali da risultargli fatali, nella maggior parte dei casi. L'autodifesa si basa, quindi, sulla capacità di potersi difendere da un attacco fisico e allo stesso tempo di ferire l'aggressore tanto quanto basta per porre fine a tale aggressione. Questo fa capire come lo scopo primario dell'autodifesa non sia togliere la vita, ma bensì cercare di preservarla, da ambo le parti.


Tornando alla nostra analisi storica, adesso è arrivato il momento di rivolgere lo sguardo alle origini delle arti marziali cinesi. La nascita della civiltà cinese ebbe inizio con la compresenza di diversi regni che si combatterono per secoli. Questi regni formarono degli eserciti che adattarono alle esigenze di guerra le tecniche di auto-difesa già sviluppate e sperimentate dalle comunità precedenti. Questo fece nascere dei veri e propri sistemi di combattimento, sia a mani nude, che con le armi soprattutto. Man mano, poi, che la conoscenza dei metalli migliorava, e di conseguenza la fattura delle armi stesse, fu possibile affinare notevolmente le tecniche che prevedevano l'uso di spade, lance, alabarde, coltelli, e ogni sorta di arma da taglio. Il modo peculiare e certosino col quale questi sistemi di combattimento vennero affinati ha fatto di loro dei veri e propri stili.
Giunti a questo punto, si può elaborare una similitudine. Così come un pianista necessita di anni di lunga pratica sulla tecnica di pianoforte, prima di poter comporre delle melodie che penetrino nell'anima dell'ascoltatore, allo stesso modo i soldati necessitavano di lunghe ore di pratica delle tecniche marziali, prolungata per anni e anni di duro addestramento, prima di raggiungere la massima maestria in questi stili, ed essere poi in grado di utilizzare efficacemente le tecniche apprese, sul campo di battaglia.
Restando su questo tema, andiamo ad analizzare il significato del termine Gong Fu, col quale generalmente ci si riferisce all'insieme delle arti marziali cinesi. Letteralmente il termine Gong Fu significa "energia (Gong) tempo (Fu)", e sta ad indicare tutta quella serie di attività o discipline nelle quali per eccellere è richiesta una grande quantità di dedizione e lavoro. Tornando all'arte, allora, possiamo osservare come tutte le discipline artistiche richiedano il Gong Fu per poter essere espresse al massimo livello. Questo può avvenire col pianoforte così come con le arti marziali. Da questo punto di vista, tale considerazione pone le arti marziali cinesi sullo stesso livello di qualsiasi altra forma d'arte.




Come si è detto in apertura, inoltre, l'arte si contraddistingue in quanto portatrice di un'essenza vitale. Le arti marziali cinesi non sono da meno. Nella pratica del Gong Fu cinese, infatti, è previsto lo studio di alcune sequenze di tecniche concatenate. Queste sequenze sono comunemente chiamate forme. Le forme possono essere allenate con o senza armi, a solo o con un partner di allenamento. Lo scopo delle forme è quello di sviluppare nella mente del praticante il senso del nemico, oltre che insegnargli alcuni aspetti tecnici dello stile studiato e il modo in cui le varie tecniche possono essere combinate. Avere il senso del nemico consiste nel far si che durante l'esecuzione dei movimenti previsti dalle sequenze, questi vengano espressi come se si stesse realmente combattendo contro un avversario. Il combattimento viene visualizzato nella mente di chi si esercita nelle forme. Le tecniche presenti nelle forme vengono, inoltre, estrapolate una ad una ed applicate con un partner di allenamento, in modo da capirne affondo il loro senso pratico. Attraverso la coordinazione mente-corpo e lo studio applicativo di tali tecniche, dunque, queste diventano movenze rese vive da colui che le esegue. La presenza di questa essenza vitale nelle arti marziali cinesi, allora, è una chiave di lettura in più che ci permette di comprendere maggiormente la reale natura artistica di questi sistemi di combattimento.



Proseguendo l'indagine storica osserviamo che, verso la metà del VI secolo dopo Cristo, l'imperatore cinese invitò a corte un monaco buddista proveniente dall'India, di nome Da Mo. L'imperatore era curioso di apprendere i principi religiosi professati dal monaco, ma resosi conto di non approvare tali principi, una volta esposti congedò quest'ultimo dalla sua corte. Il monaco, allora, iniziò il suo pellegrinaggio in Cina, fino a quando non raggiunse il monastero buddista di Shaolin. Una volta li, Da Mo osservò che i monaci, a causa delle lunghe ore dedicate alle pratiche meditative, erano gracili e cagionevoli di salute. Questo lo spronò a creare due trattati di Qi Gong che poi trasmise loro, e che li istruiva ad utilizzare l'energia vitale o Qi per migliorare la propria condizione fisica, e al tempo stesso le loro pratiche meditative. Il primo trattato era finalizzato al rafforzamento dei muscoli e dei tendini, e il secondo al prolungamento della vita e al raggiungimento dell'illuminazione spirituale.

Rappresentazione artistica di Da Mo

Oltre a questo, il monastero di Shaolin nel tempo iniziò ad espandersi. Conseguentemente le sue proprietà divennero oggetto di razzie da parte dei predoni. Per gli stessi motivi esposti all'inizio del post, i monaci dovettero sviluppare un sistema di arti marziali per difendere tali proprietà dagli aggressori. I monaci, inoltre, notarono che i principi del trattato sul rafforzamento dei muscoli e dei tendini giovavano anche alle loro tecniche marziali, rendendole più efficaci in combattimento. Il Qi Gong, allora, venne associato definitivamente alla pratica delle tecniche di combattimento. Dall'altra parte, attraverso la pratica dei precetti buddisti, i monaci potettero sviluppare una nuova comprensione delle arti marziali, che non erano viste come uno strumento di offesa, ma bensì come uno strumento per comprendere quanto fragile possa essere l'esistenza umana, e quindi quanto sia importante preservarla, anziché distruggerla. In effetti, in Cina il termine utilizzato per riferirsi alle arti marziali è "Wushu". La parola "marziale" corrisponde al carattere "Wu". Questa parola proviene da altre due parole, "Zhi" e "Ge". "Zhi" significa “fermare”, “far cessare”, mentre "Ge" significa “lancia”, “giavellotto”, quindi si riferisce ad un arma in generale. Da ciò si può comprendere come il significato originario del termine è "fermare o far cessare l’uso di un’arma". "Wushu" significa "tecnica marziale"; quindi possiamo concludere che il significato reale del termine sia “far cessare un combattimento attraverso l’utilizzo delle tecniche”. Questo implica che le arti marziali cinesi raggiunsero un livello che permetteva, a chi ne conoscesse il significato profondo, di poter far cessare o evitare del tutto un combattimento, anziché fomentarlo. Il momento in cui il Gong Fu diviene arte a tutti gli effetti è proprio questo. La pratica marziale diviene un unicum dove espressione fisica, energetica e spirituale si fondono in un unica creatura, viva e preservatrice di vita.

Monastero di Shaolin

Attraverso una breve escursione storica abbiamo visto come le arti marziali cinesi si siano evolute da una semplice ed istintiva necessità difensiva ad un'arte spirituale ricercata e complessa.
Prima di concludere, però, è necessario osservare come ancora oggi, seppur diversamente dall'antichità, sia possibile praticare il Gong Fu rispettando tutti gli aspetti della sua essenza originaria. Oggi il sistema bellico è certamente diverso da quello esistente nella Cina antica. Alle spade e alle lance sono succeduti i fucili e le mitragliatrici. Apparentemente non avrebbe più senso praticare le arti marziali con lo stesso spirito con cui venivano praticate centinaia di anni fa. Allora perché si dovrebbero studiare ancora oggi questi antichi sistemi di lotta? La pratica delle arti marziali tradizionali cinesi, oggi, potrebbe avere un forte impatto positivo sulle nuove generazioni che di anno in anno vanno ad infoltire i ranghi della comunità in cui viviamo. Un impatto di tipo psicologico, formativo, all'interno di una società disorientata, forse dalla perdita di quei valori che un tempo ne costituivano la spina dorsale. Quei valori li possiamo ancora ritrovare nel codice morale delle arti marziali cinesi tradizionali, infatti, e questi sono: Umiltà, Rispetto, Giustizia, Fiducia, Lealtà, Volontà, Resistenza, Perseveranza, Pazienza, Coraggio.
Oggi, purtroppo, quando si pensa alle arti marziali si pensa agli sport da ring come ad esempio il Taewkondo, la Muay Thai, il Karate, etc. Ultimamente si vanno diffondendo sempre più maggiormente le arti marziali miste o MMA. Si tende, quindi, ad associare l'arte marziale al puro combattimento sportivo, che purtroppo, dovendo passare attraverso i filtri dell'attuale società consumistica, dell'intrattenimento e della gloria personale, diventa soggetta a mere competizioni di atleti interessati all'acquisizione di trofei, medaglie e cinture colorate. Questi "guerrieri" moderni, però, hanno perso di vista i reali obiettivi. Forgiano la loro immagine e la loro carriera, dimenticandosi alcuni degli aspetti più coltivati dai loro antenati: l'umiltà, il sacrificio e la comprensione del significato e del valore della Vita.
Questa superficialità, purtroppo sta iniziando ad invadere anche il settore delle arti marziali tradizionali, che sempre più velocemente vanno perdendo la loro originaria profondità, per diventare mere pratiche per il benessere fisico.




Praticare il Gong Fu tradizionale oggi, mantenendone l'essenza originaria, a mio parere significa praticare questa disciplina come una vera e propria arte espressiva del corpo, della mente e dello spirito.
Nel XXI secolo la guerra è di natura psicologica, e viene combattuta nella mente degli uomini. Gli attacchi arrivano dai media e dalla propaganda, che tendono a diffondere paura, odio, rassegnazione e diffidenza tra gli uomini, al fine di fargli perdere il coraggio e la volontà di reagire a qualsiasi tipo di sopruso. L'Uomo, così, si "addormenta" e accetta qualsiasi "medicina" gli venga somministrata pur di anestetizzarsi da queste paure indotte dall'esterno; l'Uomo perde la consapevolezza di se stesso, e quindi non riconoscendo la propria identità, non riesce a reagire, diventa una pedina in mano ad un sistema che se ne serve solo per prolungare la propria egemonia di potere.
La pratica delle arti marziali tradizionali, dunque, potrebbe aiutare l'Uomo a distruggere le proprie prigioni mentali e a fargli ritrovare la fiducia e il coraggio persi, cosa che gli permetterebbe di riottenere il controllo della propria esistenza e di riscoprirne il significato, e forse rendere la sua Vita una vera e propria opera d'arte.



1 commento:

  1. Dopo aver letto il tuo lungo post mi viene da fare una considerazione: alla fine se l'arte marziale è un'arte della vita o della morte dipende non tanto dall'arte in sè ma da chi se ne serve. Ci può essere qualcuno che apprende la maestria nell'uso del corpo e delle armi per trarne un profitto personale, sia questo l'esercitare violenza verso un'altra persona o semplicemente gratificare a dismisura il proprio ego, e qualcun altro che fa di questo apprendimento una via di autoconoscenza e dissolvimento del proprio ego, al pari di qualsiasi altra "via" di coltivazione spirituale. In questo il gong fu cinese tradizionale non è diverso da qualsiasi altra disciplina marziale. In quanto agli altri tipi di artisti, poeti, scrittori, musicisti e pittori, anche tra loro ci sono gli uomini da poco, che vendono il proprio talento ai potenti e la propria anima al diavolo, e quegli uomini rari che con la loro arte illuminano le coscienze. Insomma, essere artista non è garanzia di nulla, innanzitutto bisogna essere "umani" nel senso più profondo della parola.

    RispondiElimina